domenica 23 giugno 2013

L’ultimo lavoro all’estero

Per la Svizzera son partito il sette maggio del 72, con mio padre e un suo amico, proprio la sera che si stava votando. Giungemmo a Montey il mattino seguente, in un paese in mezzo alle montagne, un bel posto, ci siamo subito dati da fare per l’alloggio e l’indomani conobbi il datore di lavoro.  La prima difficoltà fu con la lingua francese del cantone, ma nel giro di poco ci si riusciva a capire. Il titolare mi trovò una stanza tutta per me perché mio padre era intenzionato a ritornarsene in Puglia. Fu la mia prima esperienza da solo e da subito il datore di lavoro mi prese in simpatia, tanto che cominciò a darmi qualcosa in più di paga. Percepivo un buon stipendio ma il lavoro era rischioso: montavo i tetti. Ogni tanto qualcuno volava di sotto. Con qualche lavoretto extra insieme ad un collega riuscivo a mettermi qualcosa in più da parte.  La domenica giravo per le campagne in cerca di posti nuovi, d’estate approfittavo delle piscine aperte per fare qualche bagno rinfrescante e prendere un po’ di sole. Mi piaceva stare in quell’ambiente dai modi riservati e meticolosi, ma sapevo che come scadeva il permesso dovevo andarmene via.
Tornato dalla Svizzera, mi rimisi a lavorare con mio padre e, l’anno successivo, verso la fine di maggio, eravamo impegnati nella posa del solaio di una palazzina di 5 piani in un nuovo complesso residenziale di Brindisi e, siccome la gru non arrivava, si dovevano prendere a mano le travi e metterle al loro posto, dove poi si aggiungevano le pignate (i mattoni). Quel giorno io ero destinato a trasportare travi di cemento della lunghezza di 7 metri, che pesavano circa un quintale l’una, insieme ad un collega, il quale si fermò senza avvisare e mollò la trave. Lui non si fece nulla mentre io perdetti l’equilibrio finendo con il piede su di una pignata che si è rotta, finendo incastrato tra le travi già sistemate, altrimenti sarei precipitato al piano sottostante. Con quel peso sulle spalle eravamo nientedimeno che bestie da soma.
Ne venni fuori pieno di escoriazioni e con un forte dolore allo stomaco. Mi rivolsi all’INAIL dove mi medicarono e mi misero in infortunio. Il malore allo stomaco non cessava per cui mi rivolsi all’ospedale di Mesagne, mi dovevano operare ma dovevo attendere alcuni esami che non andavano bene. Alla fine di novembre in seguito ai forti dolori mi ricoverarono e fui operato. A distanza di 3 giorni mi si bloccò l’intestino, ne passai di tutti i colori per una settimana, dalle flebo alle punture, dall’olio di ricino alle supposte, dai lavaggi alla nuova operazione dopo una settimana. Mi scucirono e ricucirono di nuovo, ivi ricevetti la mia prima trasfusione, vi trascorsi altre due settimane di degenza e infine finalmente mi dimisero. La prima volta erano intervenuti sulle aderenze addominali che mi ostruivano l’intestino. Nella seconda operazione invece recisero un pezzo di intestino.
Nel 1974, a 20 anni, sono di nuovo in Germania, a Ludwigsburg, a sud della Germania, a 25 km da Stoccarda. È l’anno dei campionati mondiali di calcio e io alloggiavo proprio vicino alla dimora della squadra italiana. Trascorso un mese di permanenza mi raggiunsero i miei, tutti e sei. Il fratello del titolare era sempre ubriaco e dopo che ci litigai fui promosso e mi ritrovai ad impartire ordine non solo a due slavi e ad un turco, ma anche a mio padre. Io che ero abituato ad obbedire mi ritrovai a comandare. Ma mio padre a novembre vuole di nuovo lasciare la Germania e così rientriamo tutti nel Salento. Stare all’estero significava risparmiare per mettere soldi da parte, quindi finito il lavoro non restava altro da fare che rintanarsi in casa. Lavoravo in una fabbrica, la Mann Hummel Filter, dove c’erano ancora i forni crematori, gli stessi usati durante la guerra, gli anziani erano terribili, proprio come lo erano le s.s., il ramo peggiore dell’esercito tedesco. Si producevano filtri per motori di auto e camion.
 
 

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