Per
la Svizzera son partito il sette maggio del 72, con mio padre e un suo amico,
proprio la sera che si stava votando. Giungemmo a Montey il mattino seguente,
in un paese in mezzo alle montagne, un bel posto, ci siamo subito dati da fare
per l’alloggio e l’indomani conobbi il datore di lavoro. La prima difficoltà fu con la lingua francese
del cantone, ma nel giro di poco ci si riusciva a capire. Il titolare mi trovò
una stanza tutta per me perché mio padre era intenzionato a ritornarsene in
Puglia. Fu la mia prima esperienza da solo e da subito il datore di lavoro mi
prese in simpatia, tanto che cominciò a darmi qualcosa in più di paga.
Percepivo un buon stipendio ma il lavoro era rischioso: montavo i tetti. Ogni
tanto qualcuno volava di sotto. Con qualche lavoretto extra insieme ad un
collega riuscivo a mettermi qualcosa in più da parte. La domenica giravo per le campagne in cerca
di posti nuovi, d’estate approfittavo delle piscine aperte per fare qualche
bagno rinfrescante e prendere un po’ di sole. Mi piaceva stare in
quell’ambiente dai modi riservati e meticolosi, ma sapevo che come scadeva il
permesso dovevo andarmene via.
Tornato
dalla Svizzera, mi rimisi a lavorare con mio padre e, l’anno successivo, verso
la fine di maggio, eravamo impegnati nella posa del solaio di una palazzina di
5 piani in un nuovo complesso residenziale di Brindisi e, siccome la gru non
arrivava, si dovevano prendere a mano le travi e metterle al loro posto, dove
poi si aggiungevano le pignate (i mattoni). Quel giorno io ero destinato a
trasportare travi di cemento della lunghezza di 7 metri, che pesavano circa un
quintale l’una, insieme ad un collega, il quale si fermò senza avvisare e mollò
la trave. Lui non si fece nulla mentre io perdetti l’equilibrio finendo con il
piede su di una pignata che si è rotta, finendo incastrato tra le travi già
sistemate, altrimenti sarei precipitato al piano sottostante. Con quel peso
sulle spalle eravamo nientedimeno che bestie da soma.
Ne
venni fuori pieno di escoriazioni e con un forte dolore allo stomaco. Mi
rivolsi all’INAIL dove mi medicarono e mi misero in infortunio. Il malore allo
stomaco non cessava per cui mi rivolsi all’ospedale di Mesagne, mi dovevano
operare ma dovevo attendere alcuni esami che non andavano bene. Alla fine di
novembre in seguito ai forti dolori mi ricoverarono e fui operato. A distanza
di 3 giorni mi si bloccò l’intestino, ne passai di tutti i colori per una
settimana, dalle flebo alle punture, dall’olio di ricino alle supposte, dai
lavaggi alla nuova operazione dopo una settimana. Mi scucirono e ricucirono di
nuovo, ivi ricevetti la mia prima trasfusione, vi trascorsi altre due settimane
di degenza e infine finalmente mi dimisero. La prima volta erano intervenuti
sulle aderenze addominali che mi ostruivano l’intestino. Nella seconda
operazione invece recisero un pezzo di intestino.
Nel
1974, a 20 anni, sono di nuovo in Germania, a Ludwigsburg, a sud della
Germania, a 25 km da Stoccarda. È l’anno dei campionati mondiali di calcio e io
alloggiavo proprio vicino alla dimora della squadra italiana. Trascorso un mese
di permanenza mi raggiunsero i miei, tutti e sei. Il fratello del titolare era
sempre ubriaco e dopo che ci litigai fui promosso e mi ritrovai ad impartire
ordine non solo a due slavi e ad un turco, ma anche a mio padre. Io che ero
abituato ad obbedire mi ritrovai a comandare. Ma mio padre a novembre vuole di
nuovo lasciare la Germania e così rientriamo tutti nel Salento. Stare
all’estero significava risparmiare per mettere soldi da parte, quindi finito il
lavoro non restava altro da fare che rintanarsi in casa. Lavoravo in una
fabbrica, la Mann Hummel Filter, dove c’erano ancora i forni crematori, gli
stessi usati durante la guerra, gli anziani erano terribili, proprio come lo
erano le s.s., il ramo peggiore dell’esercito tedesco. Si producevano filtri
per motori di auto e camion.
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