domenica 30 giugno 2013

Il primo inganno

Una sera d’autunno del 1987 ero uscito a cena con i colleghi della cooperativa e al ritorno mi fermai in campagna per un controllo, perché lì avevo tutte le attrezzature che mi servivano per lavorare. Quando arrivai vidi luccicare la rampa dello scantinato: la luce della luna si rifletteva su quella che sembrava essere diventata lo scivolo di una piscina. Avvicinandomi notai che avrei potuto farci non solo il bagno, ma anche tranquillamente le immersioni. Mi misi le mani nei capelli e ritornai a casa da mia moglie. Il giorno dopo i pompieri si rifiutarono di intervenire in quanto non si trattava di un’abitazione. Dovetti affittare delle pompe per mungere tutta l’acqua che si era accumulata nell’interno. Tutto a nostre spese ovviamente. Era franato anche il pozzo di recupero, non idoneo a contenere una simile portata di acqua piovana. Mai avevo pensato che un allagamento da quelli parti potesse raggiungere tali dimensioni: nello scantinato ci stavano circa cinquecento metri cubi di acqua.
Mi recai in comune e tempestivamente inviai una lettera raccomandata a tutti i proprietari limitrofi, invitandoli a riaprire i canali di scolo, così come erano originariamente. Ricevetti un solo riscontro da parte di uno che scrisse di non ricordarsi neppure dell’esistenza di quel canale. Il Sindaco di allora, divenuto poi onorevole, mi rincuorò di non preoccuparmi che avrebbero provveduto loro a sistemare ogni cosa. Fu la prima presa in giro perché non mossero neppure un dito.
L’anno successivo ci fu il terzo allagamento. Con il secondo di inizio anno mi arrangiai da solo, essendo che fu di dimensioni ridotte. Non mi scoraggiai e andai avanti lo stesso a costruire perché, fiducioso delle parole dell’amministrazione comunale, confidavo nella soluzione del problema attraverso l’intervento degli enti competenti. Ma ahimè, non avevo idea della voragine che si stava aprendo e che con il passare degli anni avrebbe risucchiato insieme all’acqua ogni mio sacrificio che avevo sostenuto per realizzare la casa in campagna nella mia amata terra. Questo perché non sapevo con quale gentaglia avevo a che fare.
M. Certo, mica si allagava casa loro. Non a caso si dice che piove sempre sul bagnato.
Ogni volta mi toccava ripagare i danni e ricominciare daccapo. Mi stavano ingannando e io ci cascavo come un pollo.
 
 

sabato 29 giugno 2013

Contrada Calderone

 Nel 1985 comprai il terreno in contrada Calderone e presentai domanda di costruzione.  Il terreno si trovava un po’ in periferia rispetto al paese ma lo scelsi in quanto non era troppo distante dal centro e facilmente raggiungibile anche con la bicicletta.  Intorno alla casa avrei potuto disporre di un bel pezzo di terreno da coltivare, allevando animali da cortile. Tramite l’architetto M.T., presentai la domanda di concessione edile.
Fui obbligato a stipulare un’assicurazione per avere il permesso edile sulla legge Bucalossi, la tassa che si pagava allora per ottenere la concessione edilizia, ovvero il permesso per poter costruire. Chiesi di dividere la tassa in quattro rate e loro si volevano tutelare. Mi rinnovarono automaticamente l’assicurazione quando ebbi finito di pagare le quattro rate, perché non avevo dato in tempo la disdetta.
Nei corridoi dei colleghi muratori appresi che bisognava muoversi nel loro giro per ottenere facilmente le licenze, altrimenti ti ostacolano come successe a me con la storia della recinzione del primo terreno. Tutto regolare, visto che funziona così dappertutto.
La concessione edilizia mi fu rilasciata il 03-04-1986, sono quattro fogli. Comincio a lavorare in economia, man mano che ho i soldi li investo nei materiali. Di giorno lavoravo in una cooperativa idraulica, elettrica, termica e muraria, avviata con dei paesani che ai tempi ritenevo amici. Nel pomeriggio, dopo una pausa fugace per metter qualcosa sotto i denti, ripartivo con i lavori in contrada Calderone e smettevo solo all’imbrunire. Ero contento perché vedevo crescere qualcosa direttamente dalle mie mani. Anche i miei familiari condividevano la mia gioia. Mio figlio Luca giocava tutto il giorno in campagna. I bambini degli amici quando venivano a trovarci non volevano più andarsene perché stavano liberi all’aperto. Il mio secondo figlio aveva solo un anno e cominciava a muovere i suoi primi passi: si divertiva a infilarsi nelle vasche dell’acqua. Per i primi due anni veniva il camion a scaricarci l’acqua nella cisterna. Dopo feci il pozzo artesiano.
Con la costruzione della casa cominciarono i primi veri sacrifici, lasciai da parte ogni svago e mi concentrai notte e giorno soprattutto nella realizzazione del mio progetto e man mano che prendeva forma venivo ripagato dalle rinunce che ero costretto a sopportare per accorciare i tempi di realizzo. Ancora non sapevo che le modifiche apportate al territorio mi avrebbero causato danni a non finire, per cui procedevo tranquillamente nei miei fini. Nel 1987 arrivò la prima sorpresa. Di notte.
 
 

venerdì 28 giugno 2013

Nelle mani del primo avvocato

Mi consigliarono di inoltrare ricorso al TAR indicandomi l’avv. F.M., il quale per scrivere una lettera mi chiese 300 mila lire come anticipo. Pago e aspetto, tanto ormai ci ho fatto i muscoli.
In seguito all’intervento dei Vigili Urbani, i quali si erano presentati presso il mio cantiere per impedirmi di continuare a lavorare, mi pervenne la notifica della procura in cui venivo a conoscenza che mi sarei dovuto presentare per il processo. L’avv. F.M. non ne era al corrente quindi compresi che non aveva fatto nulla, nonostante si fosse intascato già la prima retta “per cominciare”, perché gli addetti ai lavori dicono sempre così: “per cominciare ci vogliono xxx lire” e l’avvocato della scalinata era uno che sapeva fare il suo lavoro.
Cercando di capire come funziona l’ambiente forense contattai un secondo avvocato, mio vecchio compagno di collegio, tale A.I., divenuto nel frattempo civilista. Fu lui ad assistermi nel processo, o meglio fu lui che sbrogliò la causa in quanto mi disse che in aula non era necessaria la mia presenza. E così rimandai più in là il momento in cui mi sarei ritrovato davanti alle toghe. Sarei entrato per la prima volta in Tribunale nel 2001, per chiedere al giudice di portare davanti al Tribunale europeo la mia causa, quella relativa agli allagamenti.
Per quella che loro ritenevano essere una costruzione abusiva fui condannato a pagare 27 mila lire di spese processuali, con 5 giorni di condizionale che non sconterò in quanto avevo la fedina penale pulita. Considerato che nel 1985 incassavo circa trentamila lire per una giornata di lavoro come muratore, al primo avvocato regalai dieci giorno di lavoro. C’era qualcosa sotto che non mi quadrava. Io volevo fare ricorso ma il secondo avvocato mi disse di non peggiorare le cose, di lasciar passare del tempo che tutto si sarebbe sistemato. Io volevo denunciare i vigili ma lui mi bloccò: «Facciamo le cose con calma che ce la caveremo». Il ricorso poi lo fece ma ancora senza la mia presenza in aula. Non digerii la sua presa di posizione ma, quando seppi il 24-6-86 che fui assolto per non aver commesso il reato, mi tranquillizzai e lasciai perdere tutto. Ovviamente non ottenni alcun rimborso, né per la multa pagata, né per l’avvocato che fui costretto a prendere a mie spese.
Nel frattempo non potevo più costruire sul mio terreno, perché era cambiato di nuovo il piano regolatore. Avevo capito che mi trovavo in mezzo ad un braccio di ferro in cui io con il mio fazzolettino di terra pur non contando nulla davo fastidio. Con l’acquisto del successivo terreno in contrada Calderone pensavo di aver risolto i miei problemi, invece ero solo all’inizio e anche qui come sempre valse la regola del «non c’è il due senza il tre». La premonizione del sogno era sempre più vicina.
 
 

giovedì 27 giugno 2013

Il silenzio comunale.

Acquistai il primo terreno in via vecchia Ceglie in quanto sito nelle immediate vicinanze della casa dei miei genitori. Era un terreno in fase di espansione, non agricolo, come risulta tutt’ora dopo che son trascorsi vent’anni. Il 14-8-1984 il Comune emise un’ordinanza sindacale con la quale avvisava i proprietari che i terreni si dovevano tenere puliti o recintati. Io optai per la recinzione. In quel periodo lavoravo per l’architetto G.M. e mi feci consigliare in proposito. Presentai la domanda a nome mio e, lasciati trascorrere come al solito un paio di mesi, mi recai presso il comune, dove mi riferirono che occorreva la piantina. Ci penserà lo stesso architetto e con quella in mano mi presento di nuovo in Comune. Intanto passano altri due mesi. Ritorno e mi sento dire che la piantina non andava bene perché non era specificata la larghezza della porta d’ingresso e la relativa altezza. L’architetto mi spiegherà che l’altezza non può essere superiore a due metri e mezzo e questo già lo sapevamo noi muratori. Consegnai una nuova pianta, cioè uno schizzo di planimetria, ma lasciai perdere e non ritornai più all’Ufficio Tecnico, perché dentro di me avevo cominciato a bollire.
Feci di testa mia e mi procurai un escavatore per spianare il terreno e livellarlo. Dopo di che gettai le fondamenta e alzai il famoso recinto, di modo che quando avessi potuto avrei cominciato a costruire. E qui l’amara sorpresa: vengo denunciato per costruzione abusiva.
E da qui si apre la mia vicenda giudiziaria perché prima di allora non ero mai entrato in un Tribunale.
 

mercoledì 26 giugno 2013

Verso l’acquisto del primo terreno

Nel 76 in pizzeria ho conosciuto la donna che in seguito sarebbe diventata mia moglie. Io e Donata ci siamo fidanzati l’anno successivo e a Natale siamo scesi insieme in Puglia con un Pio, il mio amico riminese. In quell’occasione conobbi i suoi genitori. Nell’aprile del 1978, nel pieno della vicenda Moro, ci sposammo e nel 1979 nacque Luca. Da allora si rifecero sentire i miei problemi con l’addome: non riuscivo più a mangiare come prima e cominciai a perdere peso. Dovetti sottopormi ad un nuovo intervento chirurgico a Mesagne e ad altre trasfusioni. Erano anni felici anche se duri.
Nel 1980 fummo convocati in assemblea dal direttore dell’azienda, il quale ci propose di entrare nella società. Io fui tra quelli favorevoli alla nuova operazione, solo che avevo problemi economici e non sapevo come fare per contribuire con la quota. Fui rassicurato dai vertici: avrebbero provveduto loro a fare da garanti per un prestito bancario. Così divenni io industriale e qualche collega invidioso. Per liquidare quanto prima il debito con l’istituto di credito facevo degli straordinari e venni attaccato anche per questo. Mi isolarono mentre io cercavo di non farci troppo caso e andavo avanti a fare il mio lavoro, finché decisi di andarmene e con i soldi investiti mi comprai il mobilio per la mia casa.
Nel 1981 con lo scontro delle Falkland l’azienda entra in crisi e arriva a perdere buona parte delle sue commesse con l’Argentina. Finimmo in cassa integrazione per sei mesi e per il ridimensionamento del personale fu offerto del denaro a chi era disposto a licenziarsi. Io fui tra quelli che accettò. Non avrei potuto riprendere l’attività di muratore in quanto il clima di Rimini con la sua umidità e il freddo non me lo avrebbe permesso. Decidemmo di ritornare al sud e così acquistammo un terreno alle porte di Mesagne per edificare la nostra futura casa. Se ai tempi mi avessero lasciato costruire lì ora non mi troverei in queste condizioni.
 
 

martedì 25 giugno 2013

Era un architetto eclettico.

Almanacco. Oggi 25 Giugno la chiesa festeggia San Guglielmo abate da Vercelli. Ricordiamo la nascita di George Orwell (1903) ma soprattutto quella del genio catalano Antoni Plàcid Guillem Gaudí i Cornet (1852). Guglielmo in occitano arcaico è Guillem.
Curiosità. Nel 1947 venivano introdotte sul mercato le scarpe da tennis.
Il santo. Figlio di nobili vercellesi a quindici anni è monaco. Va in pellegrinaggio a Santiago di Compostela e dopo a Roma. In Palestina, ad Oria fu malmenato dai banditi. Si ritira da eremita a Montevergine, presso Avellino, dove darà vita alla Congregazione Benedettina, divenendone l'abate.
Dopo aver nominato il suo successore, il futuro beato Alberto, si ritirò prima sul monte Cognato in Lucania, e infine a Goleto (Avellino) dove vivrà un anno in una cella ricavata nella cavità di un albero. Morì a Goleto. Nel 1942 papa Pio XII proclamò Guglielmo di Montevergine patrono primario dell'Irpinia.
Politica. Nel 1946 veniva insediata l'Assemblea Costituente della Repubblica Italiana con Giuseppe Saragat alla presidenza. E proprio ieri è mancato l’ultimo padre costituente. Non ce l’ha fatta per un giorno.
Il proverbio. A giugno quando il grano si piega il contadino si raddrizza.
L’artista. Il doodle di Google di oggi ha ricordato i 161 anni della nascita dell’architetto eclettico Gaudì, figlio di artigiani calderai. Di carattere molto riservato, lavorava contemporaneamente a più progetti, pur essendo miope da un occhio e presbite dall'altro. Non si sposò mai. Era molto religioso e predicava la castità. Vegetariano, amava il miele e la frutta, che mangiava con la buccia, tanto che affermò: «I frutti più squisiti sono le albicocche di Maiorca appena colte». Amava il respiro del mar mediterraneo: «Le mie caratteristiche greche sono dovute al Mediterraneo, la cui vista è per me indispensabile». Gaudì, dalla chioma biondissima, una volta si fece azzurrare la barba da Audonard, il miglior parrucchiere di Barcellona. Conduceva una vita appartata e poverissima, guadagnandosi così la stima dei ricchi mecenati. A chi domandava quando sarebbero terminati i lavori della Sagrada Familia, rispondeva: «Il mio cliente non ha alcuna fretta. Dio ha tutto il tempo del mondo. Tutto è frutto della Provvidenza, inclusa la mia partecipazione come architetto». La Sagrada Familia era la sua ossessione: pensava all'interno, alle colonne inclinate «come il bastone del viandante». Ci vedeva tutta la natura, dalle foglie ai pesci pesci eucaristici che non mancò di disegnare: «Nella zoccolatura delle navate ci saranno pesci che porteranno in bocca ostie». La Sagrada Familia di Gaudì è in realtà una costruzione abusiva: il comune di Barcellona non ha mai concesso la licenza edilizia.
Il 7 giugno del 1926 si stava recando come d’abitudine in chiesa, ma il destino volle che il primo tram messo in circolazione nella città lo investisse. Essendo malvestito e senza documenti, nessuno lo riconobbe. Aveva le caviglie artritiche avvolte in bende, in tasca un vecchio Vangelo, un grappolo d'uva e qualche nocciolina. Privo di coscienza, fu scambiato per un mendicante e senza ricevere i dovuti soccorsi, fu trasportato a Santa Croce, l’ospizio dove venivano ricoverati i poveracci. Il giorno dopo lo riconobbe il cappellano della Sagrada Família, ma ormai c’era ben poco da fare. Il 10 si spense in solitudine, proprio quando stavano per essere completate le torri della facciata della Nascita, ma ebbe funerali solenni con migliaia di persone al suo seguito, e venne infine sepolto nella cripta della sua Sagrada Família. Allora lo soprannominarono "l'architetto di Dio". Visse in tutto 73 anni. Eclettico, visionario e sognatore, con il suo modernismo ottenuto fondendo le architetture gotiche e moresche, rese celebre Barcellona. Fu ammirato da Joan Mirò.
 
 
 
 

lunedì 24 giugno 2013

Rimini

Nel 75 continuo a lavorare con mio padre presso terzi, il più delle volte in nero, queste erano le possibilità per chi voleva lavorare nel settore edile. Ormai avevo 21 anni e cominciai ad avanzare qualche pretesa in più, come gli altri miei coetanei, non facevo altro che sacrificare la mia gioventù lavorando tutto il santo giorno, per dare la possibilità a mio padre di poter rialzare la casa familiare.  Purtroppo non ce la facevo più a sopportare questo peso sulle mie spalle e così me ne andai di casa intenzionato a prendere in mano le redini della mia vita. Tramite un paesano potei entrare in contatto con uno di Brindisi, titolare di una pizzeria a Rimini.
Il 6 maggio del 76 mi trasferisco a Rimini pieno di speranza immaginando un futuro diverso da quello del muratore. La sera ero già in spiaggia quando in Friuli scoppiò il terremoto. Vidi traballare i lampioni delle strade e mi resi subito conto che la terra stava tremando ma non immaginavo che l’epicentro fosse a 350 km chilometri di distanza. Erano da poco scoccate le ventuno.
Cominciai a lavorare come cameriere per tutta la stagione estiva, sette giorni su sette. Quando andava bene si riusciva a dormire due o tre ore al giorno. Al lavoro duro ci avevo fatto i calli quindi non mi lamentai. Quell’anno non riuscii neanche a farmi un bagno al mare, figuriamoci andare a pescare, non se ne parlava neanche. Alla fine del lavoro stagionale mi ritrovai in mano una vera e propria miseria, oltretutto che non ero stato neppure assunto. Il mio compenso ammontò a settecentomila lire per cinque mesi di lavoro. Solo di mance superai quella cifra. Le mance le lasciavo a lui fiducioso di ricevere alla fine un bel gruzzoletto. Ci scontrammo. «Io qui non ti farò più lavorare», furono le sue ultime parole. L’anno successivo a fine stagione morì di cancro. Aveva fatto il dilettante nel pugilato e si credeva chissà chi.
Finita la stagione trovai lavoro come carpentiere e anche in questa occasione il datore di lavoro mi prese in simpatia, perché come sempre feci il mio lavoro con coscienza. Spesso mi invitava a casa sua a mangiare. Mi dispiacque di lasciarlo, quando grazie a degli amici riuscii ad entrare in una fabbrica, nella filiale nata sotto la Dogana di San Marino, facente parte del gruppo SCM, che costruiva macchinari per falegnameria, ai tempi un lavoro sicuro, al coperto. Tuttavia non mi sentivo completo, ero al pari di una macchina, io, abituato al cambiamento. Aprirono anche la mensa per i lavoratori e qualche volta durante la pausa pranzo si andava a prendere il caffe a San Marino.
 
 
 
 

San Giovanni

La ricorrenza. Il 24 giugno ricorre san Giovanni Battista e la tradizione vuole che si raccolgano le noci per preparare il relativo liquore, toccasana per il fegato proprio per la sua qualità amarognola.
Feste patronali. Torino e Genova sono le principali città dove il santo è venerato quale patrono.
Detti popolari. Si dice che San Giovanni non vuole inganni, ma anche S’a pieuv a San Gioann le nos a tomberan. ... unguento unguento / mandame alla noce de Benevento / supra acqua et supra vento / et supra omne maltempo.
Riti magici. Le streghe organizzano i loro sabba intorno al noce raccogliendone i frutti ancor verdi, nella notte a cavallo tra il 23 e il 24, la più corta dell’anno, quando la luce vince sulle tenebre. Inoltre ne utilizzano i rami per volare. La notte delle streghe coincide astronomicamente con quella del Solstizio d'Estate. Il culto del noce quale albero magico è di origine druidica.
Rugiada. Era usanza rotolarsi nell'erba umida per cogliere i benefici della rugiada e rinvigorirsi.
Nocino. Dice la leggenda che la donna più abile nella preparazione del nocino, nocillo in Campania, dovrà essere colei che raccoglierà, a piedi nudi, dall'albero le noci ancora verdi e immature, a mano e senza intaccarne il mallo ancor tenero. Lasciate alla rugiada notturna per l’intera nottata, il giorno dopo si mettono in infusione nell'alcol assieme a qualche aroma speziato come la cannella e i chiodi di garofano e lì devono restare, al sole e sereno, vicino a qualche pianta, magari grassa, per almeno quaranta giorni.
Ovomanzia. Nel Salento, e in particolare a Lecce, le giovani spose promesse riponevano un tuorlo d’uovo sbattuto in un bicchiere sul davanzale della propria abitazione. La mattina successiva leggendo l’uovo rappreso avrebbero predetto il proprio futuro, a seconda delle forme che vi avrebbero visto.
Le tre fave sotto il cuscino. Se ne doveva pescare una a caso al mattino. Quella integra assicurava ricchezza ed agio, quella sbucciata sventura e miseria, quella pelata solo in parte situazione stazionaria.
Il Santo. Con l'avvento del cristianesimo ai rituali magici viene sostituita la figura di San Giovanni Battista.
La Cripta nel Salento. A Giuggianello, il più piccolo comune per popolazione della provincia di Lecce, c'è la Cripta bizantina di San Giovanni, sul monte omonimo. Il Santo avrebbe guarito la figlia di un pastore da una terribile malattia.
Fioroni. I più precoci, le cui infiorescenze derivano da gemme dell’estate precedente, sono quelli pugliesi e la tradizione vuole che siano maturi per san Giovanni. Sono di grosse dimensioni con buccia elastica e polpa rossa, teneri, dolci e senza semi.
Erbe di San Giovanni sono l’artemisia, la ruta, la lavanda, la menta e l’iperico. Vuole la leggenda che quest’ultimo sia sbocciato dalle gocce di sangue del santo.
Caria era la ninfa amata da Dioniso e da questi trasformata in albero di noce, in greco karidos . Il legno venne utilizzato per scolpire le statue del Partenone, le Cariatidi. karidia sono le noci.   
Corna In diversi paesi è diffusa l’abitudine di mangiare le lumache. Ad ogni cornetto mangiato un malanno di meno.
 
 
 
 
 
 

domenica 23 giugno 2013

L’ultimo lavoro all’estero

Per la Svizzera son partito il sette maggio del 72, con mio padre e un suo amico, proprio la sera che si stava votando. Giungemmo a Montey il mattino seguente, in un paese in mezzo alle montagne, un bel posto, ci siamo subito dati da fare per l’alloggio e l’indomani conobbi il datore di lavoro.  La prima difficoltà fu con la lingua francese del cantone, ma nel giro di poco ci si riusciva a capire. Il titolare mi trovò una stanza tutta per me perché mio padre era intenzionato a ritornarsene in Puglia. Fu la mia prima esperienza da solo e da subito il datore di lavoro mi prese in simpatia, tanto che cominciò a darmi qualcosa in più di paga. Percepivo un buon stipendio ma il lavoro era rischioso: montavo i tetti. Ogni tanto qualcuno volava di sotto. Con qualche lavoretto extra insieme ad un collega riuscivo a mettermi qualcosa in più da parte.  La domenica giravo per le campagne in cerca di posti nuovi, d’estate approfittavo delle piscine aperte per fare qualche bagno rinfrescante e prendere un po’ di sole. Mi piaceva stare in quell’ambiente dai modi riservati e meticolosi, ma sapevo che come scadeva il permesso dovevo andarmene via.
Tornato dalla Svizzera, mi rimisi a lavorare con mio padre e, l’anno successivo, verso la fine di maggio, eravamo impegnati nella posa del solaio di una palazzina di 5 piani in un nuovo complesso residenziale di Brindisi e, siccome la gru non arrivava, si dovevano prendere a mano le travi e metterle al loro posto, dove poi si aggiungevano le pignate (i mattoni). Quel giorno io ero destinato a trasportare travi di cemento della lunghezza di 7 metri, che pesavano circa un quintale l’una, insieme ad un collega, il quale si fermò senza avvisare e mollò la trave. Lui non si fece nulla mentre io perdetti l’equilibrio finendo con il piede su di una pignata che si è rotta, finendo incastrato tra le travi già sistemate, altrimenti sarei precipitato al piano sottostante. Con quel peso sulle spalle eravamo nientedimeno che bestie da soma.
Ne venni fuori pieno di escoriazioni e con un forte dolore allo stomaco. Mi rivolsi all’INAIL dove mi medicarono e mi misero in infortunio. Il malore allo stomaco non cessava per cui mi rivolsi all’ospedale di Mesagne, mi dovevano operare ma dovevo attendere alcuni esami che non andavano bene. Alla fine di novembre in seguito ai forti dolori mi ricoverarono e fui operato. A distanza di 3 giorni mi si bloccò l’intestino, ne passai di tutti i colori per una settimana, dalle flebo alle punture, dall’olio di ricino alle supposte, dai lavaggi alla nuova operazione dopo una settimana. Mi scucirono e ricucirono di nuovo, ivi ricevetti la mia prima trasfusione, vi trascorsi altre due settimane di degenza e infine finalmente mi dimisero. La prima volta erano intervenuti sulle aderenze addominali che mi ostruivano l’intestino. Nella seconda operazione invece recisero un pezzo di intestino.
Nel 1974, a 20 anni, sono di nuovo in Germania, a Ludwigsburg, a sud della Germania, a 25 km da Stoccarda. È l’anno dei campionati mondiali di calcio e io alloggiavo proprio vicino alla dimora della squadra italiana. Trascorso un mese di permanenza mi raggiunsero i miei, tutti e sei. Il fratello del titolare era sempre ubriaco e dopo che ci litigai fui promosso e mi ritrovai ad impartire ordine non solo a due slavi e ad un turco, ma anche a mio padre. Io che ero abituato ad obbedire mi ritrovai a comandare. Ma mio padre a novembre vuole di nuovo lasciare la Germania e così rientriamo tutti nel Salento. Stare all’estero significava risparmiare per mettere soldi da parte, quindi finito il lavoro non restava altro da fare che rintanarsi in casa. Lavoravo in una fabbrica, la Mann Hummel Filter, dove c’erano ancora i forni crematori, gli stessi usati durante la guerra, gli anziani erano terribili, proprio come lo erano le s.s., il ramo peggiore dell’esercito tedesco. Si producevano filtri per motori di auto e camion.
 
 

Dai dodici anni in su

        All’età di dodici anni fui mandato in seminario dove rimasi per circa un anno e mezzo, mentre mio padre lavorava in Germania alle dipendenze della Volkswagen. Interrotti gli studi mi misi a lavorare con mio padre nell’impresa artigiana da lui avviata. La crisi ci costrinse a lasciare l’Italia e nel Gennaio del 1970 con la mia famiglia al completo parto per la Germania. Mio padre non voleva che stessi chiuso in casa così chiese ad alcuni colleghi di accompagnarmi a vedere la partita, di modo che potessi apprendere anche un po’ di tedesco. Mi ritrovai su di una macchina nuova di zecca con i colleghi di lavoro di mio padre, quando la stessa a causa di un incidente finì accartocciata contro il muro. Io ero inzuppato di benzina, tutto rotto di dentro ma senza che si vedesse una goccia di sangue. Sul giornale mi avevano dato per morto. Ero incastrato tra le lamiere, mi hanno tirato fuori dal finestrino laterale posteriore e trasportato all'ospedale son finito per la seconda volta sotto i ferri con tanto di asportazione della milza. Tra l'altro il giorno dopo era pure il mio compleanno: compivo 16 anni. Alla fine dell'anno ritornammo al nostro paese nella speranza di riprendere a lavorare in qualche ditta.
La notte del sette maggio del 1972 raggiunsi la Svizzera accompagnato da mio padre che mi presentò ad alcuni compaesani, i quali mi avrebbero tenuto d’occhio. In quell’ambiente dai modi riservati e meticolosi, fui preso di buon occhio dal mio nuovo datore di lavoro. Percepivo un buon stipendio ma il lavoro era rischioso: montavo i tetti. Ogni tanto qualcuno volava di sotto. Scaduto il permesso stagionale ritornai al paese con una nuova esperienza sulle spalle. Ripresi a lavorare con mio padre.


 
 
 
 

sabato 22 giugno 2013

Nato sotto il segno dei pesci

    M. Dopo il sogno premonitore, chiamiamolo così, quando ti sei ritrovato per la prima volta a dover fare i conti con l’acqua?
A. Mi trovavo al mare d’inverno per far piacere ai colleghi di lavoro, sul litorale a Brindisi, ero sceso giù con le bombole per raccogliere i ricci di mare. Quando ho avuto il primo brivido sono risalito in superficie, faceva sì freddo ma quel tremolio lo avvertii in un modo strano, dopo un po’ riprovai a immergermi di nuovo ma niente da fare, arrivato ad un metro mi fecero talmente male le orecchie da non riuscire più a scendere. Lasciammo il mare e mentre facevamo ritorno al paese cominciò a scendere del nevischio: la sera Mesagne si rivestì completamente di bianco, tempo normale perché era il periodo delle festività natalizie, tra Natale e Capodanno del 1985, ma la neve dalle nostre parti è un evento piuttosto insolito, e quella volta l’imbiancata rimase anche il giorno dopo. Negli anni a venire scoprirò che alla fine della scalinata del mio sogno ci abitava proprio l’avvocato sul quale avrei riposto la mia massima fiducia affidandogli dapprima un ricorso. E su questo punto ci ritornerò perché è da lì che cominceranno i miei guai, trovandomi costretto per l’ennesima volta a lasciare il mio amato paese. E come se tutto questo non bastasse, quando mi trasferii ad Udine ebbi di nuovo a che fare con l’acqua in due occasioni.
Avevo trovato un alloggio in una nuova zona residenziale della città e nell’attesa di avere le chiavi in mano venni a sapere da quelli dell’agenzia immobiliare che qualcuno aveva lasciato il rubinetto dell’acqua aperto e la casa si allagò. Io avevo pagato l’agenzia per non aver nessun problema e invece ne ho avuti fin sopra la testa. Questo quando si dice che la realtà supera la fantasia. Dopo un anno e mezzo che io e la mia famiglia viviamo in questo appartamento con tanto di residenza e abitabilità, scopro che l’acqua ad uso di noi condomini non era potabile!
M. Se ricordo bene, sei nato il 13 marzo. Il tuo segno zodiacale è acquatico!
 
 

venerdì 21 giugno 2013

Il sogno premonitore

        All'età di 9 anni, per volere di mio padre che non voleva vedermi in mezzo alla strada, ebbi la mia prima esperienza lavorativa in un autolavaggio, dove alla fine della settimana ricevevo la paghetta, il che mi rendeva contento perché potevo andare al cinema e mi ci compravo anche i primi calzoni in pizzeria.
Negli anni successivi dovetti seguire mio padre nei cantieri edili, era tremendo, mi stava sempre addosso e dovevo capire tutto alla prima spiegazione altrimenti volavano pezzi di tavola o qualche ferro, non mancava neanche qualche schiaffo ogni tanto, perché ti dovevi fare subito uomo, non come adesso che a trent’anni sono ancora sotto le vesti della mamma e non sanno cosa fare.
Portavo l'acqua alle persone e andavo a comprare i panini. Allora si riciclava tutto, soprattutto i chiodi, li si raddrizzava per poterli riutilizzare. Inoltre ripulivo le tavole dal cemento. Con la crisi mio padre fu costretto a partire per la Germania e io entrai in un collegio dove rimasi per circa 1 anno e mezzo. Fu per me un’esperienza di cui conservo ricordi molto belli, oltre ad avermi lasciato il segno dell’altruismo, valore che conservo tutt’ora. Ma prima di parlare della scuola non posso tralasciare un episodio risalente a quel periodo. Per raccontare dell’incubo della scalinata devo precisare che tre sono le porte di Mesagne: Porta Grande, Porta Piccola e Porta Nuova. Intorno ai nove anni feci uno strano sogno: mi trovavo sulla scalinata della terza porta dopo esser stato al cinema, quando improvvisamente cominciò a piovere e l’acqua continuava a salire verso di me. Io scappavo impaurito e l’acqua mi veniva dietro. Questo sogno mi è sempre rimasto vivo nella memoria e da quel momento me lo porto appresso come una specie di maledizione, perché con l'acqua sto lottando da ben 23 anni, ossia dal 1988, anno del primo allagamento in campagna.
M. Son venticinque anni!
A. Ho perso il conto allora. La miseria…
 
 
 

giovedì 20 giugno 2013

Anni elementari

Appendicite. A 7 anni ho subito il mio primo intervento, per l’appendicite. Preso da dolori alla pancia da un po’ di giorni, i miei genitori decisero di portarmi in ospedale per un controllo. Fatti gli accertamenti del caso, i medici constatarono che si trattava di appendicite e il giorno seguente venni accompagnato in sala operatoria. Di quell’episodio ricordo un grosso lampadario che faceva luce su di me accecandomi, al che cominciai ad aver paura e a gridare, ma subito dopo, per effetto dell’anestesia, mi addormentai. Mi risvegliai ad intervento compiuto, nella stessa stanza dove stavo prima dell’ingresso in sala operatoria. Avevo una gran sete, ma nonostante chiedessi continuamente da bere, non mi portavano l’acqua, ma si limitavano ad inzuppare un tovagliolo con il quale mi tamponavano le labbra. Solo dopo ventiquattr’ore potei assaporare il mio primo bicchiere d’acqua. Non vi dico che gioia. Dopo 5 giorni mi hanno tolti i punti e potete immaginare dove arrivarono le mie urla. In compenso quando mi informarono che a breve sarei ritornato a casa saltai dalla felicità.
La bicicletta. Ai tempi della mia infanzia si giocava come tutti i bambini in mezzo alla strada perché non c’era altro. Unico divertimento era costituito dalla bicicletta. Con le mani sui manubri ci sembrava di volare, soprattutto nelle discese. Quel giorno non so cosa mi passò per la mente: presi la mia bicicletta e mi misi a smontare il manubrio, poi non contento presi a sostituire una delle ruote con quelle di un'altra bicicletta.
M: - Questi sono i lavori che faceva mio figlio l’anno scorso con i suoi compagni di scorribande.
Legammo la mia bicicletta ad un'altra. L’amico mi tirava e ad un certo punto non potendo frenare son caduto con la bici sopra di me. Quando feci per rialzarmi il polso mi doleva assai, nel giro di poco tempo si gonfiò e dovetti ammettere ai miei che ero volato dalla bicicletta. Mi ero fratturato l’altro polso, quello sano. Lasciai l’ospedale con una nuova ingessatura: ormai ero diventato un cliente fisso.
Il braciere. Una storia vera che ha del miracolo. Noi figli maschi dormivamo in un’unica stanza e d’inverno, per scaldarci, si usava il braciere con la carbonella. Io avrò avuto sì e no nove o dieci anni. Si stava tutti riuniti intorno al braciere. Si arrostiva il pane e intanto si chiacchierava. Con la forchetta si sistemavano le forme vicino alla brace, poi si metteva un po’ di olio, sale e pomodoro, oppure un po’ di zucchero e un po’ di acqua, appena appena, giusto per togliere quel croccante. Una sera, non si è mai capito il perché, prima di andare a dormire uno di noi, forse proprio io, mise il braciere sotto il comò, come tutte le altre sere, ma al mattino seguente quando ci svegliammo trovammo l’amara sorpresa: il comò era completamente bruciato insieme a tutto il suo contenuto, e in gran parte anche l'armadio. Noi bambini non ci accorgemmo di nulla per cui non ci siamo spaventati più di tanto, ma i nostri genitori erano sbiancati per la paura. Chissà quale santo ci protesse in quell'occasione! Da allora quando si andava a letto il braciere lo si svuotava nel caminetto e lo si spegneva con l'acqua.
M: -  Roba da prender fuoco la casa!
A: - Si pensava che fosse quasi spento.
M: - Della scuola non hai detto niente…
A: - Meglio così! (Il post si chiude con una risata). Nel prossimo il seguito.
 
 

mercoledì 19 giugno 2013

Parlo un po' di me



Del triciclo. Non sono stato un bambino calmo. Uno dei miei primi ricordi risale a quando avevo circa due o tre anni. I miei mi regalarono un triciclo e giocando, non so come, riuscii a conficcarmi il freno in gola. 
L: - In gola? E come hai fatto?
A: - Sì, tra l’orecchio e la bocca, sotto la mandibola.
T: - Ti è uscito il sangue?
A: - Eh sì, me la son vista brutta. Mi hanno portato in ospedale. Io non ricordo nulla, mia madre si è spaventata tantissimo.
L: - Ti è rimasto il segno?
A - No, non ho la cicatrice, ma in quel punto la barba non cresce come dovrebbe.
M: - Non è mica semplice conficcarsi un freno in gola…
A: - Avolte succedono cose che sembrano impossibili, il modo in cui si cade… vai a sapere.
L: - Eh ma mamma una volta non era mica come adesso che tutte le cose son di plastica… Chissà com’era questo triciclo, tutto in ferro, magari appuntito e non arrotondati come erano i nostri. Ci vorrebbe una foto di Angelo su questo triciclo da mettere dentro il blog.
A: - Purtroppo non ce l’ho. Allora le fotografie erano un lusso e da noi in famiglia non c’era ancora questa usanza. Forse le mie prime foto risalgono al periodo in Svizzera. Proverò a domandare a mio fratello quando rientrerà dalla trasferta.
L’albero di fico. Prima che cominciassi la scuola elementare, durante le vacanze estive, i miei genitori avevano preso in affitto un terreno, con annessa una casettina composta da due stanze da letto e da un garage dove si faceva tutto: dalla pasta alla lavorazione del tabacco. Le foglie si infilavano con un ago allo spago, poi le si portava fuori sui cavalletti ad essiccare al sole. In questa attività partecipavamo anche noi bambini e ci divertivamo perché spesso ci si divideva anche il lavoro e alcuni di noi andavano con i più grandi ad occuparsi della piantagione, in particolare nel lavoro della raccolta delle foglie. Quando faceva troppo caldo e non si riusciva più a stare sotto il sole ci si riparava dentro nel garage a infilar le foglie. Le foglie si abbracciavano una sopra l’altra e venivano riposte su dei teli che noi bambini provvedevamo a trasportare dalla piantagione al garage. Questa attività stagionale che partiva da febbraio fino a che non si seccava tutto il tabacco, diciamo fino a luglio inoltrato, ma a volte anche ad agosto, era servita quell’anno per racimolare i soldi necessari all’ampliamento della casa familiare. Era usanza abbastanza comune che appena si possedevano un po’ di soldi ci si dava da fare con i lavori che servivano per migliorare le proprietà, nel nostro caso abbisognavamo di più stanze perché la famiglia era numerosa. Mio padre rientrava dal lavoro delle cozze e ci raggiungeva in campagna dove stavamo noi bambini con mia madre e alcuni parenti che ci davano una mano. Con le persone che avevano preso il terreno a fianco al nostro ci si aiutava a vicenda e la sera ci si riuniva a chiacchierare all’aperto. In campagna si stava anche seduti per terra e noi bambini ci sentivamo liberi. Ricordo che il giorno prima di tornarcene in paese mentre giocavo su di un albero di fico si è rotto il ramo e io son caduto rompendomi il polso destro, cosi furono costretti ad anticipare il rientro.
L: - Ti hanno messo il gesso?
A: - 40 giorni di gesso! Ora ti mettono due viti e via. Invece allora…
M: - Ti è andata ancora bene che non ti sei rotto l’osso del collo! Visto che già ti eri fatto male con il triciclo.
Il cellulare di Angelo suona. È la madre anziana che lo cerca per sapere come sta e per avvisarlo che venerdì mattina rientra il fratello dalla Liguria.
M: - Quanti anni ha tua mamma?
A: - Ha 84 anni se non sbaglio. È del 29.
M: - Carina che ti ha telefonato. Si vede che le fischiavano le orecchie!
A: - Non sta tanto bene, si deve operare per un’ernia. E poi non vuol fare la protesi. Ha lavorato veramente tanto per stare dietro alla famiglia e a noi cinque figli. Pensa che i miei con il solo lavoro di mio padre si son fatti su una casa di oltre duecento metri quadri, su due piani. L’abbiamo costruita tutta noi da soli quella casa.
Dopo gli anni ottanta non è stato più possibile metter su casa come si faceva allora, perché adesso vogliono la casa costruita entro tre anni. Tu prima avevi la possibilità di costruire un po’ alla volta. Invece ora ogni volta che chiedi un permesso sono più le tasse che tutto il resto.
M: - Non è come sembra, in realtà i tempi son diventati molto più duri. Pirandello ha sempre ragione.




 

martedì 18 giugno 2013

Mesagne

        Di Mesagne invece posso dire molto di più, avendoci vissuto per molti anni, fino a quando gravi problemi mi hanno costretto mio malgrado a trasferirmi al nord.
 Mesagne si trova al nord del Salento, lungo la via Appia Antica, a soli 17 km da Brindisi e 6 da Latiano, 15 km per arrivare al mare nell'Adriatico e 30 allo Ionio. Quando tira Scirocco si va sull’Adriatico, con vento di Tramontana invece si preferisco lo Ionio, così per fare il bagno si trova sempre il mare calmo. Il territorio di Mesagne è per lo più pianeggiante, nonostante il centro storico sia insediato su di una collinetta, dove poggia il Castello, con viuzze strette strette che si riuniscono dando forma ad un cuore. È anche la città d'arte che meglio rappresenta il barocco pugliese in tutta la provincia.
Grazie alla sua posizione Mesagne ebbe un florido sviluppo economico, ricordo che quando avevo circa 5-6 anni era un periodo particolarmente ricco: partivano vagoni pieni di tutto ciò che si produceva. Si cominciava con i meloni e le angurie, rinomate per la loro bontà e per i premi che vincevano, a seguire le più pregiate uve da tavola e il vino del Pozzi, il più grosso stabilimento di produzione vinicola. Pian piano con il passare degli anni il paese cominciò a retrocedere. Spero che torni il giorno della ripresa e che io possa ritornarci per potervi trascorrere il resto dei miei giorni con quella tranquillità che mi è sempre mancata, perché questa mia amata città me la porto sempre nel cuore.
Mia madre, contadina, si trasferì a Mesagne in seguito al matrimonio con mio padre, anch’egli contadino. Eravamo cinque figli e i miei, con duri sacrifici grazie ai lavori agricoli stagionali, riuscirono a comprare un terreno che servì per edificare quella che sarebbe diventata la nostra casa. Mio padre lasciò i campi per cercare fortuna a Brindisi, dove trovò impiego nella lavorazione delle cozze, sulle barche in mezzo al mare. Lasciate le cozze passò all’edilizia e lì vi rimase fino all’età della pensione.
 
 

domenica 16 giugno 2013

Descrivo brevemente le mie origini

Sono nato il 13 Marzo del 1954, a Latiano, in provincia di Brindisi, paese situato a nord del Salento, sorto nei pressi del vecchio insediamento Messapico abbandonato di Muro Tenente. Ci sono delle tombe che risalgono ad alcuni secoli prima di Cristo, ogni tanto qualcuno lo beccano mentre tenta di ripulire le stesse dai reperti archeologici. Latiano e Mesagne si contendono questo sito. Pizzorusso, che si trova nelle immediate vicinanze di Muro Tenente, è la contrada da dove parte il canale Gallina che attraversando Latiano confluisce nel canale Capece di Mesagne, da cui ahimè ebbe origine nel 1988 la mia sfortunata vicenda, in quanto io avevo costruito nel terreno da me acquistato un villino, il quale in realtà era una casa rurale, ma la legge in quel periodo mutò e così io fui costretto fin da subito a pagare fior di tasse. Ma avrò modo di ritornare su questo punto un po’ più in là nella mia narrazione. Per il momento finisco di descrivere Latiano con il Santuario della Santissima Maria di Cotrino, venerata nei primi giorni di maggio tutti gli anni. Ancora oggi tante persone con problemi di salute vi affluiscono sperando in un miracolo. Ricapitolando sulle mie origini latianesi devo precisare che io non ricordo nulla di quelle località essendomi con i miei quasi da subito trasferito a Mesagne, per quali motivi non ho mai avuto modo di comprenderli.