martedì 30 luglio 2013

Rivolta dei cittadini

Trascorsi soli 10 mesi dal mio esposto alla Procura tutta la città di Mesagne si ritrovò immersa nell’acqua. Era il 26-12-2003. Anche questa volta il comune ci lasciava soli. Su mia richiesta i vigili del fuoco provvidero a svuotarci lo scantinato e la cisterna.
Fu questo il peggiore di tutti gli allagamenti da me subiti: arrivò a lambire 15 centimetri dentro casa, e fu solo grazie alle mie pompe che non salì oltre. Avevo sigillato le porte e messo la pompa in casa, la quale rigettava l’acqua attraverso la finestra. Sul piano stradale l’acqua era salita di circa un metro. Era una cosa spaventosa. Un amico mi aiutò a fare dei buchi lungo il muro di recinzione per aiutare il deflusso e far sì che l’acqua non entrasse in casa. Nessuno si degnò di venire a vedere come eravamo messi. A nulla valse il sollecito del mio dottore che era anche mio vicino di casa. Lui fu soccorso. Noi no.
Dopo pochi giorni mia moglie cominciò a sentire dei rumori strani nei muri e per tranquillizzarla mi decisi a chiamare i tecnici del comune. Mi fecero puntellare il solaio del piano terra e se ne infischiarono del Pugliese che con i suoi nuovi lavori alla strada stava ulteriormente peggiorando la situazione. Dopo essermi recato all’Ufficio Tecnico per ribadire del nuovo pericolo, oltre a non ricevere alcun riscontro da parte loro, ricevetti l’ordinanza di sgombero! Dovevo lasciare casa mia e sarei potuto rientrarci solo dopo averla rimessa a posto, poiché era stata ritenuta pericolosa. Del nuovo allagamento avevo già a suo tempo ritenuto responsabile anche il De Luca con il suo muro, ma a nulla valse.
Mi rivolsi alla Procura della Repubblica di Brindisi con l’ordinanza del comune e gliela buttai sul tavolo: ero incavolato al massimo. Lessero tutta la documentazione e si dichiarano dispiaciuti dell’accaduto. Illecitamente mi fu indicato di rivolgermi al TAR di Lecce in quanto l’ordinanza era corretta visti i danni, ma nulla fecero per tutelarmi. Prevalse sempre la totale indifferenza verso chi subiva: tutto per proteggere le amministrazioni oltre che loro stessi.
Al rientro mi fermai dal mio legale ma non lo trovai. Mi telefonò nel pomeriggio. Lo informai che ero stato in Procura. In quattro e quattr’otto prese un appuntamento con il sindaco per cercare di mettere a posto la situazione. Il giorno seguente ci incontrammo in Comune e il Sindaco mi offrì la cifra irrisoria di mille euro, arrivando poi a millecinquecento. Non mi ero mai sentito così umiliato in vita mia: della cifra che doveva venirmi corrisposta in rate non vidi mai neppure un euro. E i danni da me subiti furono stimati in non meno di sessantamila euro. L’ingegnere confermerà al sindaco questa cifra e ancora una volta venni rigirato alla ormai nota Bellipario, la quale il giorno dopo mi scaricherà all’assistente sociale, Francesca, la stessa che scaricò i miei figli da mio zio e mia moglie nel centro immigrati.
In quell’occasione si apriva una struttura per me, ma non per mia moglie, fuori dal paese, ma solo per una settimana. Si trattava di un albergo per i pellegrini e non fui neanche messo in condizione di riuscire a contattare il sacerdote che lo custodiva. L’assistente sociale mi fece compilare la richiesta per il sostegno economico in quanto avevo perso tutto. Aspetto, aspetto e aspetto ma nulla si muove. Sentendomi preso in giro, nel 2010 chiederò che fine ha fatto la mia domanda. Come tutta risposta mi sentii dire: «Se tu ne avessi avuto diritto te li avremmo dati»! Me ne andai via di lì disgustato oltre che rammaricato.

Nel frattempo la famiglia si divise: mia moglie andò ad abitare con la madre, mio figlio dal fratello a Udine e io rimasi in casa nonostante l’ordinanza di sgombero, per fare pulizia e recuperare quanto possibile.
Nei giorni successivi mi vedi arrivare un’auto del Comune con due persone a bordo: uno si qualificò come geometra del Comune, era lo stesso che si presentò con l’Assessore nei giorni seguenti all’allagamento.
Mi accusò che la colpa era mia, che l’acqua veniva da sottoterra perché saliva la falda, che la casa era costruita sul canale e infine mi invitò ad andarmene altrimenti mi avrebbe fatto sequestrare la casa e di finirla con le denunce. Lo pregai di uscire altrimenti gli avrei messo le mani addosso. L’altro era l’autista. Se la svignarono e non si fecero più vedere. Con mia moglie arrivammo alla triste decisione che si dovevano vendere i mobili salvati dall’acqua per poter in parte tirare avanti, trasferirci a Udine e ricongiungerci con i nostri figli.
Io e altri cittadini vittime di allagamenti ci riunimmo in Comune di Mesagne per dire la nostra al Sindaco e chiedere perché si era arrivati a quel punto. Ognuno di noi ebbe modo di esprimersi. Io mi rivolsi al Sindaco senza alcuna paura: «È grazie alle persone che vi stanno dietro e vi proteggono che ve la scampate sempre. Questa è mafia: sono 16 allagamenti che subisco e nessuno mi ha aiutato, lei compreso che per ben due volte son venuto a chiedere aiuto e mi avete scaricato all’assistente sociale e questo succederà anche alla gente qua riunita». Alla fine abbiamo sotto firmato un documento con il quale ci costituimmo in Comitato, dando l’incarico all’avvocato Rosato del Foro di Brindisi, il quale avrebbe poi proposto altri avvocati per portare avanti un’unica causa. Girai al comitato tutti i documenti e il video in mio possesso, per permettere ai tecnici dell’università di Bari invitati dal Comune di fare il loro lavoro: ricercare le cause e le soluzioni. Durante un incontro con i tecnici nel castello vennero evidenziate parecchie infrazioni, tra cui muretti abusivi, deviazioni e manomissioni di canali con tubi sottodimensionati, oltre a canneti che ostacolavano il passaggio dell’acqua. Per sistemare e bonificare il territorio ci volevano moltissimi milioni. Ci incontrammo con gli altri avvocati nella chiesa di San Pio. Francesco Morgese ci illustrò quello che potevamo fare in base all’entità dei danni che avevamo subito. Chi aveva subito danni per una somma inferiore a 5000 € poteva rivolgersi al giudice di pace; per quelli che avevano ricevuto danni superiori di tenere conto che per andare avanti ne servivano altrettanti solo per cominciare! E così io dovevo tirare fuori 70.000 euro solo per imbastire un fascicolo? Compresi che quel processo non avevano alcun interesse a portarlo avanti e cambiai strada.
Presi il treno per Milano deciso a portare la mia storia in televisione. Quelli di Mediaset non si degnarono nemmeno di vedere i documenti. Allora chiesi di parlare con Fede ma ci voleva un appuntamento e mi consigliarono di mandare i documenti via posta. Così feci ma nessuno mi contattò. Ritornai a casa sempre più deluso sia dalle istituzioni che dai media. 
 



domenica 28 luglio 2013

Primo affronto



 Con il nuovo insediamento del sindaco M. S. , cerco di portare a conoscenza la mia storia, sul principio mi rassicurò invitandomi a ritornare dopo qualche settimana. Trascorsi più giorni mi ripresentai da lui per essere attaccato. A suo dire la colpa sarebbe stata mia! Incazzassimo, prendo e me ne vado.
La maledizione dellacqua mi colpisce di nuovo il 30-12-2002 con un altro allagamento. Nonostante le proteste popolari nulla si smosse. Diversi furono i punti del paese a ritrovarsi come me allagati: negozi, abitazioni e la Basilica della chiesa del Carmine. La gente cominciò a lamentarsi. Ancora una volta il comune ci lasciò a combattere da soli contro muri di gomma. Il Prefetto dovera ? Come mai non prese seri provvedimenti? Il comune continuava a dimostrare di non essere allaltezza della situazione e il Prefetto se ne fregava.
Il padre Carmelitano, portavoce del Comitato allagati e padre della Basilica del Carmine, oltre che litigare con lingegnere del Comune R. M., sollecitò lintervento del prefetto, anche lui senza ottenere risultati. Io tornai dal sindaco per chiedere la relazione tecnica del nuovo allagamento. Venni di nuovo scaricato alla B., la quale con lUfficio Tecnico non centra niente essendo questultima dei Servizi Sociali. Anche lei farà la sua telefonatina al Sindaco e mi liquiderà prendendosi tutto il tempo che le necessitava per far sì che io mi arrendessi e non mi rivolgessi più a loro.
Incazzassimo presi carta e penna e feci un esposto alla Procura di Brindisi, ravvisandola di prendere provvedimenti e che del prossimo allagamento lavrei ritenuta responsabile. Il 5-2-2003 mi decisi a presentare lesposto alla procura di Brindisi, come mi era stato suggerito dal Prefetto nel 1996. La mia denuncia fu anche riportata da giornale.
Ricominciai con il chiamare i vigili del fuoco, salvare il salvabile e ripristinare la casa per poterci vivere senza alcun sostegno da parte del Comune. I debiti aumentavano perché con il moltiplicarsi dei danni non riuscivo più a starci dietro. Quando dovevo rimediare ai danni subiti dagli allagamenti mi toccava stare anche un mese senza lavorare per ripristinare e rimettere tutto a posto. Non ce la facevo più a starci dietro. Mi sentivo come Sisifo.


sabato 27 luglio 2013

Primo ingresso in aula



Il 29-O3-2001 è la data della nuova udienza La sera prima andai dall’avvocato per parlare e venni a sapere che anche il terzo CTU nominato dal Giudice non accettò l’incarico, come i suoi predecessori, trovando anche lui una scusa. Avevamo capito tutti che erano intimiditi. Me ne andai via arrabbiato e la notte non presi sonno, rimanendo a pensare ad una eventuale soluzione. Così il giorno dopo, per la prima volta dopo anni entrai in aula. Nelle udienze precedenti l’avvocato ci lasciava attendere all’ingresso, in quanto mia moglie aveva problemi di salute al piede. Tuttavia non mi era mai stato reso noto che le udienze si svolgevano al piano superiore. Lo seppi solo in occasione dell’interrogatorio dei testimoni.
Quel giorno doveva essere ascoltato un altro testimone. Quando lo chiamarono io lo fermai e mi avvicinai al giudice, mentre l’avvocato cercava di trattenermi e intimorirmi dicendomi che non potevo fare una cosa del genere. Mi scrollai le sue mani di dosso e giunsi davanti al giudice. Mi scusai per il mio comportamento e chiesi direttamente al giudice perché non venivano presi accorgimenti per non far più allagare la mia casa, nonostante avessi più volte sollecitato l’avvocato ad intervenire in merito. Mi permisi di far presente che visti i continui dinieghi mi sarei rivolto al tribunale dei diritti dell'uomo. Il giudice mi rispose: «Il suo avvocato sa che ci sono altri sistemi».
- Cosa intendeva dire?
- Gli avvocati sanno come fare delle richieste particolari per far sì che i giudici intervengano con urgenza. Queste cose le sanno gli avvocati e se non si adoperano per far valere i nostri diritti la colpa non è del giudice.
Il giudice chiamò l’avvocato e si fece sottoscrivere che io avevo reso una dichiarazione spontanea e che lui non era a conoscenza degli altri allagamenti, per tutelarsi. L’avvocato cambiò colori e su di lui si vedeva la bandiera! Era furente per la figura che gli avevo fatto fare. Idem l’avvocato del consorzio. Non si aspettavano quella mia uscita estemporanea e si misero tutti a telefonare. Il giudice rinviò l’udienza. Con grande meraviglia rimasi scioccato perché costui non degnò nemmeno di prendere i miei documenti che dimostravano la verità degli allagamenti ricevuti. Si giustificò dicendo che dalle mie mani non li poteva accettare. E non solo, non aprì neanche un inchiesta per cercare di capire cosa stava succedendo. La sera stessa mi presentai nello studio dell’avvocato per dirgliene quattro, perché non aveva preso provvedimenti come disse il giudice. Lui di nuovo mi sgridò che non dovevo agire in quel modo e dopo quattro giorni mi arrivò la sua raccomandata di destituzione dell’incarico.

Mi presentai in udienza l’8-5-2001 e riferii al Giudice che il mio avvocato aveva lasciato l’incarico e che non avevo soldi ma solo debiti in seguito allagamenti subiti, di cui l'ultimo solo pochi mesi prima: 17-11-2000. Il giudice concluse di ripresentarmi con un nuovo avvocato. Ma trascorso del tempo scoprii che avevano archiviato il procedimento senza avvisarmi.
L’avvocato voleva i suoi soldi, nonostante fosse venuto meno alle regole deontologiche del suo mestiere, e non mi volle restituire la mia documentazione.
Non sapendo più cosa e come fare il 17-04-2001 mi rivolsi di nuovo al Presidente della Repubblica spiegando quanto era successo e sperando in un suo intervento. La risposta del 11-05-2001 fu di nuovo un nulla di fatto.
Raccontai la mia storia al presidente di un sindacato dove mi ero iscritto e gli chiesi se poteva consigliarmi un buon avvocato e mi indicò un suo amico. Andai da lui con i documenti e gli chiesi di portare la mia storia davanti al tribunale dei diritti dell'uomo.
Si prese un po’ di tempo per studiare come procedere e mi disse che si sarebbe fatto risentire non appena avrebbe avuto delle novità. Per circa un anno andai a trovarlo di tanto in tanto con le solite domande, cioè a che punto era con la procedura. Le risposte si alternavano con un: sto controllando, sto vedendo, ci vuole un po’ di tempo per studiare cosa fare. Alla fine dopo qualche anno mi portò davanti al Sindaco per trovare un accordo.
Ci fu anche un altro allagamento ma per fortuna entrò poca acqua nello scantinato. Per questo non chiamai i vigili del fuoco, il Comune manco parlarne, mi rimboccai le maniche e ricominciai da solo a rimediare ai danni.


venerdì 26 luglio 2013

Pressioni



Con l’altro ennesimo allagamento non tardò a interviene il giornalista mandato da Legambiente, era quello del 2000. Mi telefonò che sarebbe venuto a parlarmi ma prima mi avvisò che doveva passare in Comune, forse per chiedere il permesso. Mi assentai per circa un’ora, quando l’architetto del Comune R. M. si presentò a casa mia e trovò mia moglie: ci fu una tale prepotenza da parte sua nell’accusarci che la casa non dovevamo costruirla li, che era abusiva e costruita sul canale. Io non ero presente, peccato, perché qualche parolina gentile se la sarebbe proprio meritata. Al mio rientro mi riferì tutto mia moglie.  Arrivò anche il giornalista, il quale mi riferì che era stato in comune per sapere cosa stava succedendo nella mia proprietà. Gli mostrai tutti i documenti e le foto. Infine mi disse che al Comune gli avevano detto che la casa era sul canale, al che volle accertarsi di persona: gli feci fare il giro di casa e della proprietà. Ad un certo punto rivolto al Comune esclamò: «Non possono prendere in giro le persone così: la casa è distante dal canale»! L’articolo infine lo titolò proprio così: «La casa sul canale»
Il mio tormento e la mia maledizione non hanno fine, tanto sono costretto a continuare a rimetterci, sacrifici su sacrifici, mettevamo via per l’inverno il cibo come le formiche, e l’acqua ogni volta si portava via tutto. Costretti a fare debiti per tirare avanti ci restava solo la speranza, nostra unica forza che ogni giorno si faceva sempre più debole, fino a quando l’acqua con l’ultimo allagamento si prese anche quella. Chiesi più volte che venissero presi provvedimenti in merito ma niente da fare, la giustizia è sorda e non ci sente, o meglio ha orecchi solo per pochi privilegiati, sicuramente non per un povero cittadino calpestato nei suoi diritti fondamentali. I legali non si riesce mai a capire quali giochi fanno, se stanno con te o con la controparte. Sanno essere ambigui.
Verranno nominati dei consulenti di parte, i famosi C.T.U. Il primo rifiutò con la scusa di avere rapporti con il Comune. Trascorsi 6 mesi lo seguì anche il secondo, perché tesseva rapporti con il consorzio di bonifica dell’Arneo. Così le udienze si susseguono senza produrre risultati. Viene interrogato Rosato Camillo, il primo testimone, proprietario di un terreno non molto lontano dal mio, anche lui danneggiato dall’acqua. Alcuni giorni dopo i tecnici del Comune si presentarono presso la sua abitazione in cerca di qualche prova, per controllare se la sua casa era in regola, nonostante stesse pagando anche la sanatoria. Queste sono le ritorsioni che mettono in atto nei piani alti verso chi rende testimonianza nei processi. Quando ci incontrammo mi spiegò tutto per filo e per segno e di capirlo, perché se lo avessero richiamato non si sarebbe presentato. Il secondo testimone stava mettendo in regola la costruzione in quanto la doveva accatastare e si attaccarono ad un gradino che costui aveva per entrare in casa. Il terzo aveva un garage abusivo che gli serviva da magazzino. Cominciai a preoccuparmi anche per loro, a cosa fare per poterci aiutare l’un l’altro.

giovedì 25 luglio 2013

Intimidazioni

La sera del 30 agosto 1999 ricominciò a piovere di brutto, tanto che la notte non riuscimmo a chiudere occhio per la preoccupazione di ritrovarci di nuovo a bagnomaria. Il livello dell’acqua ricominciò a salire e l’indomani eravamo di nuovo sommersi dall’acqua. Nell’indifferenza di tutti ricevetti a casa un giornalista che poi pubblicò un articolo sulla mia vicenda. L’Amministrazione Comunale anziché aiutarmi vergognosamente sostenne, come riportato nell’articolo di giornale, che «ci saremmo visti in tribunale in occasione del dibattimento». Il motivo credo sia dovuto al fatto che i pompieri in seguito all’allagamento inviarono un esposto al Comune, al Prefetto e alla Procura e io per questo fui invitato in Comune dal Sindaco, il quale mi attaccò dicendo che non avrei dovuto chiamare i pompieri ma avvisare lui, e che me l’avrebbe fatta pagare. Gli risposi che fu opera dell’avvocato, nel senso che il mio legale aveva chiesto informazioni in merito.
Il sindaco allora mandò la sua segretaria in protocollo per verificare che vi fosse la lettera del mio avvocato e al suo ritorno quest’ultima fece un cenno con il capo al sindaco per fargli capire che la lettera c'era. Io me accorsi con la coda dell'occhio e lui cambiò espressione.
Si rese conto dell’infondatezza delle sue accuse dopo aver constatato che la lettera c’era. Smorzò i suoi toni minatori e decise di scaricarmi alla P. P., la quale pensai fosse la dirigente dei servizi sociali. Credetti in un rimorso di coscienza da parte sua. Il colmo fu che quando scesi giù questa persona risultò essere in ferie e dovevo aspettare il suo ritorno non prima di due settimane.                                       
Nel frattempo ci fu l’udienza dove si dovevano presentare i testimoni. La signora C. A., dirigente di Legambiente, si propose da sola nel 1996, quando conobbe il geometra F.. A costui fu richiesta da parte del mio legale una perizia. Il comune lo cominciò a ostacolare ed egli mi diede indietro tutti i documenti scusandosi, che lui doveva lavorare. Lo ringraziai per la sincerità e andai via. Al momento di testimoniare anche la signora C. cominciò a tirarsi indietro con la scusa che non ricordava più nulla perché era trascorso troppo tempo. Compresi che anche lei aveva subito pressioni.
Presi un appuntamento con due dirigenti nella sede di Legambiente, sperando in un loro sostegno. La Candita non si era più resa disponibile.  Il giorno successivo mostrai loro tutta la problematica relativa ai canali inesistenti e a solchi che si erano sostituiti ai canali; i due mi diedero ragione, senza tuttavia esporsi quando sarebbe stato il momento. Lottano per il rispetto dell’ambiente e poi non hanno il coraggio di mettersi contro chi non lo tutela. Si limitarono a inviarmi un giornalista. Continuai a riparare i danni lavorando sodo, nella speranza di trovare delle soluzioni.

 




nel 2008 stesso posto nessuno aveva fatto nulla



mercoledì 24 luglio 2013

False accuse

Dopo la lettera al Presidente della Repubblica, che tra le altre cose non è servita proprio a nulla, ma solo a buttar via ulteriori soldi per francobolli, dovetti subire un nuovo allagamento.  Era l’anno 1998 e ancora non venivano fatti i dovuti lavori come Dio comanda, ma solo una pulizia superficiale, giusto per far vedere che qualcosa si era fatto e per tenere buoni i cittadini. Dai documenti risulterà che il Sindaco ha aspettato fino all’8-2-96 per emettere l’ordinanza con la quale invitava il consorzio ARNEO ad eseguire i lavori di pulizia dei canali, senza tuttavia imporre l’obbligo della manutenzione. Il Consorzio da parte sua non si mosse fino a quando il Comune non dichiarò la pubblica utilità. Ciò avvenne il 18-5-96 e tali lavori furono dichiarati dal Comune anche urgenti e indifferibili. Vi fu solo una pulizia dei canali superficiale e nella mia proprietà peggiorarono la situazione. Il consorzio eliminò il mio canale, il quale misurava circa 2 m di larghezza e 1,50 di altezza, per farne uno di 1 metro di altezza e 0,80 di larghezza, come da ordini ricevuti. In più  volevano spostarlo avvicinandolo alla casa. Andai a parlare con il tecnico del Comune, E. G. e gli spiegai la situazione. Egli mi rispose: “Non sapevo che quel terreno fosse tuo, - e aggiunse - vedi tu cosa vuoi fare e mettiti d'accordo con gli addetti del canale”. Feci ritorno a casa e gli addetti allargarono il canale di altri pochi centimetri. Mi fecero presente che non era corretto fare curve. A me lo hanno modificato il canale, ma perché dall’O. A. no? La legge non è uguale per tutti? Nel 1998 l’acqua del canale cominciava a straripare e quando giungeva al fico significava per me un nuovo allagamento in arrivo. Allora mi recai in Comune e feci richiesta al maresciallo dei vigili del Comune di Mesagne T. di chiamare i Vigili del fuoco, altrimenti mi sarei ritrovato nelle medesime condizioni delle altre volte. Ebbi un secco rifiuto da parte del maresciallo, il quale infastidito mi rispose: “Fallo tu.  Chiama la polizia, i carabinieri, i pompieri perché è un fatto tuo personale”. A quel punto, indignato il pomeriggio andai a riferire il fatto al mio avvocato.  R. mi chiese di andare a parlare con l’ispettore C. della DIGOS, la stessa persona che avevo conosciuto per la denuncia nel 1995. Chissà perché non ci provvide lui! Io ci provai per tre settimane consecutive presso la prefettura di Brindisi, ma costui era assente ogni volta, finché stanco di andare avanti e indietro da Brindisi, mi rivolsi di nuovo al mio legale riferendogli che non riuscivo a contattare questo ispettore. Così scopro dal mio legale che era ammalato, ma se sapeva questo perché ha mandato me, quando avrebbe potuto fare lui la denuncia? Anche questa volta l’avvocato non ci pensò a denunciare il maresciallo T. in quanto non aveva compiuto il suo dovere.  Ho dovuto provvedere da solo a ripulire l’acqua dallo scantinato e salvare il salvabile. L’indomani mi venne a trovare il vigile T. (nipote del tecnico del Comune e cugino dell'architetto), che il giorno prima era con il Maresciallo T. per costatare cosa fosse successo; ero nella cisterna dell’acqua intento a pulirla e disinfettarla, quando l’amico mi disse che era dispiaciuto ma che non poteva far nulla in quanto era stato appena assunto. Questa sua visita fu un atto di riconoscenza nei miei confronti, in quanto ci conoscevamo e voleva rendersi conto di cosa mi stavo succedendo. Dopo la consegna degli atti (denuncia in tribunale contro Comune e Arneo), la controparte cercò di difendersi con assurde motivazioni: che la casa era abusiva, dopo che con il pagamento della Bucalossi mi diedero tanto di permesso; che era stata costruita su un canale, nonostante distasse di circa 70-80 metri dallo stesso; che l’acqua veniva su perché la falda era cresciuta, ma nella mia zona la falda è a 80 metri; che non ero provvisto di una pompa adeguata, quando anche i pompieri e l’auto spurgo se ne andarono perché era per loro come travasare il mare; che io avevo manomesso il canale, ma se sono stati altri e li ho anche denunciati. Anche l’ARNEO si stava rendendo complice della manomissione impropria dei canali, dopo che riceveva anche i finanziamenti per la corretta manutenzione degli stessi. Non so perché non hanno accettato il video fatto da quelli della protezione civile. Come evidenziato in precedenza nel video, li vi sono i riscontri che confermano la verità di quanto da me dichiarato.


                                                                        dietro la mia casa
 
davanti la mia casa   

dove vi sono i pini c'e il canale